martedì 19 dicembre 2006

Il fischio al tempo del bipolarismo

Per i fascisti a fischiare era il sasso. Per i comunisti, il vento. Nella democrazia dell’alternanza i fischi non servono né a glorificare “l’intrepido Balilla” né ad annunciare la “rossa primavera”, ma, più modestamente, a contestare. E in misura rigorosamente bipartisan. E’ capitato prima a Berlusconi, capita oggi a Prodi.
Ma se il fischio al tempo del bipolarismo s’innalza severo e perentorio senza guardare in faccia a nessuno non altrettanto si può dire delle reazioni dei politici. Anzi, gli stessi che fino a ieri consideravano e trattavano i gonfiatori di guance emittenti sonori ostilità (così una direttiva europea definirebbe i fischiatori) come avanguardie rivoluzionarie, oggi vorrebbero non vederli e soprattutto non sentirli.
Sarebbe ad esempio utile chiedere conto all’ineffabile on. sottosegretario Cento di una sua dichiarazione di qualche mese fa, quando salutò dall’opposizione come “un atto di democrazia” una contestazione al Cavaliere. Conferma queste parole, onorevole Cento?
E che dire dell’ on. Rizzo, esempio riuscito di mondanità comunista, che intravide nella stessa forma di protesta il germe dell’“insofferenza degli italiani” per la Casa delle Libertà? Oggi che è diventato un autorevole esponente della maggioranza si sente per caso anche lui bersaglio dei bhuu-bhuu riferiti all’indirizzo di Prodi e del suo scassatissimo governo?
Tra gli apologeti del fischio liberatorio non vi sono solo singoli esponenti. All’indomani della cerimonia di chiusura dei Giochi Olimpici invernali di Torino fu addirittura l’intera Direzione nazionale dei Ds a magnificare con una nota ufficiale le “contestazioni sonore in mondovisione” a Berlusconi.
Ma non troviamo solo la sinistra radicale o quella ex, post, neocomunista sulla barricata dell’equazione fischi uguale democrazia. Persino un cattolico adulto come l’on. Lusetti non ha rinunciato a dire la sua quando sedeva tra gli scranni dell’opposizione: “I fischi di Torino a Berlusconi - sentenziava raggiante nel febbraio scorso - sono il miglior sondaggio per capire cosa pensano gli italiani di questo governo”. Chissà se ora che i fischi sono diventati un po’ la colonna sonora del pessimo film girato in queste sette mesi dal Professore, è pronto a riconoscere che il governo della sinistra non ha più il consenso della metà più uno degli italiani.
A ben guardare i fischi al centrodestra ed al suo leader costituirono l’aspetto più rilevante solo sotto il profilo dell’inquinamento da decibel. In realtà è accaduto di peggio: a Milano un giovanotto che l’aveva per ore atteso al varco nel corridoio del Palazzo di Giustizia gli gridò in faccia “buffone”. Puntualmente querelato, e stato puntualmente assolto nel tripudio del centrosinistra. Sempre in nome della democrazia la sera di San Silvestro, nel cuore di Roma, un altro militante di sinistra gli scagliò un treppiedi sulla nuca. L’intemperante giovanotto fu presto perdonato dall’allora premier. Nel frattempo, il segretario nazionale dell’Associazione nazionale magistrati si divertiva a spedire via sms ad amici e colleghi un’ironica filastrocca sull’edificante episodio nella generale approvazione dell’allora opposizione. In piena campagna elettorale, a Genova, i centri sociali gli impedirono di parlare e un giovanotto urlò “viva Vittorio Mangano” per dargli del mafioso. Da sinistra, inutile dirlo, giunsero solo sorrisetti compiaciuti. E’ stata talmente impermeabile al senso di responsabilità l’opposizione di allora da beccarsi un’aperta critica della Voce Repubblicana, la cui prosa a distanza di mesi appare davvero premonitrice. “Ci sembra – scrisse il giornale del Pri - che la coalizione dell’Unione non solo non si preoccupi minimamente di fronteggiare tali fenomeni, ma quasi vorrebbe utilizzarli per un qualche calcolo elettorale”.
Parole sante. Da allora però molte cose sono cambiate, a cominciare dall’inquilino di Palazzo Chigi, che oggi si trova a scontare sulla propria pelle i silenzi compiaciuti, le difese d’ufficio, la malcelata benevolenza di ieri verso chiunque in qualsiasi modo (anche violento) urlasse il proprio malcontento a Berlusconi.
Oggi tocca a lui raccogliere la tempesta seminata col venticello della menzogna politica. Con in più l’amara consapevolezza dettata dall’esperienza recente che vuole il premier fischiato mezzo sfrattato.
Mario Landolfi