venerdì 12 gennaio 2007

Lettera al Corriere della Sera su Aldo Grasso che vuole abolire la Vigilanza Rai

Signor Direttore
mi consenta di incrociare la mia lama con quella di Aldo Grasso, che sul “Corriere” di oggi, giovedì 11, propone di “abolire la Commissione di vigilanza”. La RAI, è la tesi, è da sempre considerata “bottino di guerra” della politica: anche la Fondazione prevista dalla riforma non potrebbe garantirne l’autonomia perché la politica continuerebbe a tenerle “il fiato sul collo”, ed il primo rimedio sarebbe appunto la sparizione della Commissione parlamentare, “ultimo residuo di Minculpop”.
Grasso è osservatore troppo attento per non ricordare che quando negli anni Settanta la Corte costituzionale prima e il Parlamento poi decisero di attribuire l’indirizzo e la vigilanza sulla radiotelevisione (non il controllo) ad un organo parlamentare, sottraendolo al Governo, lo fecero proprio per evitare situazioni da Minculpop. Quella del Parlamento, che più di ogni altra istituzione rappresenta tutte le istanze della società, e trae dal popolo la sua diretta legittimazione, fu una scelta di garanzia democratica. Grasso pensa che oggi questa esigenza di garanzia sia superata?
Certo, si può certo ragionare se la Commissione di vigilanza, che ho l’onore di presiedere, debba essere lasciata come è adesso, o se le sue funzioni debbano essere ridotte oppure potenziate. Tra i suoi poteri rientra oggi, per esempio, quello di designare il Consiglio di amministrazione della RAI, come all’epoca della sua istituzione. Ma tra il 1993 ed il 2004, negli anni in cui questo potere le era stato sottratto, la RAI è stata forse governata con maggiore indipendenza?
Possiamo discutere su come ridefinire la Commissione, anzi è doveroso nel momento in cui si mette in cantiere l’ennesima riforma dell’emittenza pubblica. Ma a quale organo daremo il potere di decidere, ad esempio, come suddividere gli spazi televisivi, e quindi di valutare se l’UDEUR, o se si preferisce l’UDC oppure il Partito Radicale, è più significativo, più rilevante politicamente e socialmente, dell’Associazione degli amici di Aldo Grasso o di Mario Landolfi? E che quindi merita uno spazio televisivo che a quest’ultima non può essere dato? Un esempio per tutti, lontano dall’attualità. Nel 1998, quando cadde il primo governo Prodi, alle Tribune politiche potevano accedere solo i partiti che costituissero un Gruppo parlamentare. A seguito della crisi, Rifondazione comunista scese al di sotto del numero minimo di parlamentari e non potè più essere considerata un Gruppo. Se la Commissione non avesse avuto il potere di adattare sùbito la regola alla circostanza, ammettendo quel partito alle trasmissioni – e se non si fosse presa la responsabilità politica di farlo – avremmo avuto per assurdo un dibattito sulla crisi di Governo senza proprio quel partito che la crisi aveva determinato. Quale altro organismo o istituzione potrebbe svolgere più propriamente questo compito?
Al contrario – e qui sì che entro nell’attualità – dovremmo ragionare del perché la RAI non segua le indicazioni della Commissione parlamentare. Del perché, ad esempio, continui ad invitare tanti politici nelle trasmissioni di intrattenimento, quando la Commissione lo ha vietato da quasi quattro anni. Del perché la RAI non segua neppure le indicazioni date dal rispetto degli utenti e dal buonsenso, e continui ad iniziare i programmi in ritardo sugli orari previsti. E mi fermo qui. Ma in questa situazione vogliamo sopprimere la Vigilanza? Non piuttosto potenziarla?
Insomma, la riforma della RAI ha bisogno di tante cose, simboliche e concrete, e forse anche della riforma della Commissione. Ma una garanzia per le attività televisive, quella, deve essere mantenuta, e deve essere lasciata al Parlamento, che è la casa di tutti e non può essere identificato con “l’inciucio” o con la partitocrazia. Ne andrebbe della nostra democrazia. Del resto si può discutere. Anzi, si deve.

Mario Landolfi