mercoledì 7 febbraio 2007

BRAVO CALDEROLI. IN SENATO HA MESSO PRODI AL TAPPETO


Bravo Calderoli. Il senatore leghista ha scovato la formula di rito solitamente utilizzata dalle maggioranze nei momenti topici dei voti di fiducia. Poche parole, semplici semplici: («Il senato, udite le dichiarazioni del ministro della difesa, le approva») per infiocchettare il geniale uovo di Colombo che l’altro ieri è andato di traverso alla cosiddetta maggioranza di governo. La coalizione di sinistra ha subito così il primo vero cazzotto dall’inizio della legislatura ed è finita subito al tappeto. È accaduto su un tema di grande rilevanza. Parliamo di politica internazionale, di difesa, di rapporti con gli Usa non di “lenzuolate” qualsiasi. Prodi, quello della “serietà al governo”, dovrebbe trarne le logiche, elementari conseguenze: dimettersi. Ovviamente, farà finta di niente. Neppure i contorcimenti dei suoi fedelissimi o le prese di posizione dei suoi alleati o, ancora, gli ultimatum incrociati all’interno della sua coalizione riusciranno a strappargli una reazione che vada al di là della classica scrollatina di spalle. Anzi, dirà che tutto è sotto controllo, che i dardi acuminati volati ieri tra Rutelli e Rifondazione comunista rientrano a buon diritto nella normale dialettica politica e che non c’è nulla, ma proprio nulla, da dubitare circa il fatto che il suo baraccone tirerà a campare per l’intera legislatura. Questa sarà la prima reazione, poi verrà il momento della liturgia ulivista: il vertice seguito dal documento delle buone intenzioni e dalle compunte dichiarazioni dei segretari di partito con le trite litanie sulla “maggioranza rafforzata” e così via fino al prossimo rovescio parlamentare. Un film penoso già visto nel corso degli ultimi mesi e di cui milioni e milioni di italiani aspettano con impazienza la fine. Ma dopo quel che è accaduto mercoledì nell’aula di Palazzo Madama qualche interrogativo deve porselo anche l’opposizione. Lo sganassone rimediato dal governo è solo all’apparenza un incidente di percorso. Certo, c’è di mezzo anche l’imponderabile, ma il dato politico non può essere eclissato da assenze, raffreddori e fraintendimenti. È infatti fuori discussione che si fa sempre più evidente il malessere nel settore non radicale del centrosinistra. Gli indizi in tal senso abbondano: l’uscita dai ds di Nicola Rossi, la defezione congressuale di Peppino Calderola, la divaricazione in atto sotto la Quercia sul Partito democratico, la riattivazione del cosiddetto tavolo dei volenterosi, le minacce di Mastella sui Pacs e si potrebbe continuare all’infinito. Tutto questo è già accaduto o sta accadendo, cioè è vero. Tutto vero. E noi? Per noi è arrivato il momento di essere chiari. Le chiacchiere sulla leadership del centrodestra e sul contenitore (federazione, partito unico e altro) stanno a zero. Insistere su questi temi non è solo ridicolo ma ormai sta diventando autolesionistico. Sembra che non si sia capaci di parlare d’altro, col risultato che chi decide di stare fuori da questo teatrino dell’assurdo può solo per questo essere scambiato per un gigante del pensiero. Proviamo invece a ragionare delle cose che uniscono. È possibile immaginare una moratoria di un anno su chi dovrà guidare il centrodestra alle prossime elezioni per parlare di pensioni, federalismo, famiglia, liberalizzazioni? Ci siamo accorti che in un recentissimo provvedimento, tra un’edicola soppressa e un distributore di benzina autorizzato, il Consiglio dei ministri ha soppresso ben otto articoli della riforma Moratti sulla scuola? Partiamo allora dai contenuti (come Alleanza nazionale ha fatto a Brescia) e sui contenuti incalziamo questo governo agonizzante. Basterà solo questo – ne sono convinti milioni di italiani – a fare entrare Prodi e il suo governo in vortice infernale dal quale non sarà più in grado di uscire. Troppo semplice? Può darsi, ma anche l’ordine del giorno presentato da Calderoni lo era. Eppure ha vinto, perché a volte la politica è come il calcio dove il successo non arride a chi elabora la tattica più sofisticata o il modulo più complesso ma a chi fa meglio le cose semplici. Si assuma quindi l’iniziativa, si convochi un vertice e i leader decidano che ogni questione non unanimemente condivisa è rinviata a momenti successivi per puntare invece su quelle che uniscono. Siamo all’opposizione e almeno possiamo permetterci il lusso di distinguere temi, tempi e modalità d’azione. Sfidare la maggioranza sulle cose da fare essendo noi uniti è il modo migliore per metterne a nudo limiti e contraddizioni. Proseguire sulla strada attuale, lastricata di distinguo, polemiche e ripicche allontana la prospettiva non tanto di un improbabile ritorno alle urne quanto di un ritorno alla politica, intesa come capacità di decidere.
Solo un dato i leader del centrodestra (Casini compreso) dovranno sentire come vincolante: la grande mobilitazione del 2 dicembre, autentico spartiacque nella storia della Casa delle libertà a prescindere da assenze e contromanifestazioni. Al di la di ogni tentazione retorica, sempre in agguato quando si celebra una così imponente manifestazione, da quella fantastica piazza San Giovanni ci è giunto un duplice monito: Prodi a casa, voi uniti. È appena il caso di evidenziare che il primo dipende anche da noi, il secondo solo da noi. Ma è altrettanto vero che se non crederemo alla necessità di unire le forze, probabilmente Prodi continuerà a galleggiare. E l’Italia ad affondare.


Mario Landolfi